giovedì 20 giugno 2013

Un mio articolo su Amish e antimodernità pubblicato da "Riforma", il settimanale del Protestantesimo italiano


Riforma

numero 22 7 giugno 2013 pagina 6 cultura

L’attuale crisi della società

globalizzata, che molti

ritengono essere non solo

economica, ma anche politica,

sociale e persino culturale, ha

fatto sorgere una serie di

analisi critiche del «sistema» e

proposte di modelli

alternativi. Dalla suggestione

della società della decrescita

ai tentativi di prefigurare

esperimenti basati sul

comunitarismo, le prospettive

che si contrappongono

all’egemonia della

globalizzazione liberalcapitalista

sono varie ed

eterogenee. Esse sono

tuttavia accomunate

dall’obiettivo di rimediare ai

danni creati dal cosiddetto

«sistema denaro» nella

«società liquida»,

evidenziando la necessità di

uscire dalla logica mercantile

dell’economia finanziarizzata.


La gente mi chiede cosa facciamo per divertirci.

Io rispondo: “Coltiviamo la terra”.


Anziano Amish


Andrea Borella

Alcuni studiosi sostengono che le cause

della crisi che ha colpito le economie

«sviluppate» siano da rintracciarsi

nelle stesse categorie fondanti la modernità.

Hanno dunque lanciato un

«manifesto» dell’antimodernità, per andare oltre il

dominio del «finanzcapitalismo» che avrebbe generato

una «dittatura del capitalismo», creando ciò

che è stato descritto come «l’orrore economico».

Decrescita, antimodernità, comunitarismo sono

concetti che sebbene definiscano aspetti distinti,

condividono un orizzonte di opposizione

ferrea alla società consumistica che si basa su logiche

quasi esclusivamente tese a trasformare l’essere

umano, e le sue molteplici propensioni, tra le

quali vi è quella religiosa, in un limitato

homo economicus.

Al riguardo appare utile e affascinante lo

studio di comunità che riescono a vivere e prosperare

oltre questa mera dimensione economica.


Il contributo del ramo dell’antropologia

che si occupa

della critica al contemporaneo modello sociale è

duplice. Da un lato, lo studio accademico, relativo

alla decostruzione di concetti che sono proposti

come non complessi e autoevidenti: la crescita

crea benessere. D’altro lato il lavoro «di campo»,

dove l’osservazione etnografica offre esempi di

comunità con pratiche e credenze religiose, politiche

ed economiche differenti rispetto a quelle imposte

dalla cultura egemonica. Negli anni settanta

Marshall Sahlins propose la teoria che la qualità

della vita dei popoli «primitivi» fosse migliore rispetto

a quella dei «moderni», divenendo un antesignano

del movimento della decrescita. Nell’esame

dei vari modelli culturali è però importante

considerare in quale modo approcciarvisi.

L’antropologo Clifford Geertz sviluppò la definizione

di cultura come «complesso di modelli»,

distinguendo tra «modelli di» e «modelli per».

Questi ultimi sono sinteticamente definiti come

modelli-guida, esempi da seguire

tout court,

mentre i «modelli di» sono insiemi coerenti,

provvisti di significato, il cui esame è utile per

trarre stimoli e spunti di riflessione. In questa

prospettiva è di particolare interesse l’analisi degli

Amish che, pur vivendo nella contemporaneità,

rifiutano gli elementi cardine della modernità:

idea di progresso, pensiero positivista, industrialismo,

concetto di stato-nazione.


Nonostante il termine modernità abbia confini nebulosi,


è possibile considerare la cultura Amish come

un modello dell’antimodernità. Gli Amish sono

una chiesa cristiana anabattista, la loro visione è

quindi prettamente religiosa. La «diversità» degli

Amish non si limita all’ostracismo nei confronti

della tecnologia, da cui deriva il divieto di avere

automobili, corrente elettrica, abiti alla moda, televisioni,

e di conseguire un’istruzione superiore.

Sono soprattutto le categorie politico-filosofiche

del pensiero moderno a essere estranee alla

Weltanschauung

Amish, dove i riferimenti a sviluppo,

crescita e progresso, che formano le politiche

della modernità, sono sostituite da rispetto per la

tradizione, enfasi sul lento scorrere del tempo e

fiducia nella provvidenza divina che induce a

sopportare le ingiustizie, focalizzandosi sul lavoro

e sul sacrificio quotidiani.


Decostruire i «miti» del progresso

G


li Amish non possono fungere da

«modello per» rifondare il sistema

basato sulle logiche astratte della

crescita e del mercato, perché, ammesso e

non concesso che ciò sia auspicabile, sarebbe

impraticabile riportare le lancette

del tempo indietro di secoli, rinunciando

alle innovazioni che hanno modificato in

profondità la nostra esistenza. Dal divieto

di suonare strumenti musicali alla proibizione

di studiare oltre il livello base, dalla

regola di poter viaggiare su un’automobile

ma non di possederla alle limitazioni tecnologiche,

le norme Amish appaiono troppo

influenzate da una sorta di fondamentalismo

tradizionalista religioso per trovare

spazio in una società aperta e pluralista.

Le differenze maturate nei secoli hanno

scavato un solco tra loro e la nostra (post)

modernità globalizzata. Non si tratta di

augurarsi un anacronistico «ritorno alle

carrozze», prospettiva affascinante se vogliamo,

ma improponibile; si tratta invece

di considerare anche questa eventualità, di

aprire la mente per riflettere su alternative

che sembrano inconcepibili.

A esempio, nella nostra società l’automobile

è contemporaneamente il principale

mezzo di trasporto,

status symbol e prodotto

cardine nelle maggiori economie.

Pensare di privarsene è visto come un’eresia,

nonostante i danni evidenti che questa

invenzione della modernità ha creato in

termini di vittime per incidenti stradali, inquinamento,

traffico. Discorso simile sulle

esternalità negative è riproponibile per la

televisione e gli altri

media. L’analisi del

modello Amish, nell’accezione di «modello

di», consente di decostruire questi «miti»

del progresso, valutati come intrinsecamente

positivi.


Lo stato-nazione ha rappresentato il primo

esempio di «comunità immaginata»,

vale a dire

un gruppo nel quale si condivide un sentimento

di appartenenza con milioni di sconosciuti

che provano le stesse passioni,

gioie e preoccupazioni. La globalizzazione

ha portato questo fenomeno a livelli planetari.

Sappiamo in tempo reale che cosa accade

dall’altro capo del mondo, mentre

l’intensità dei nostri rapporti umani si affievolisce

sempre più. Così non è tra gli

Amish, dove l’esistenza si svolge all’interno

di piccoli distretti ed è fatta di contiguità

affettive. Questa vicinanza fisica e «spirituale

» si nutre dell’ascolto e del silenzio,

aspetti centrali dell’antimodernità Amish e

quasi dimenticati nel fragore scomposto di

una società moderna caotica e ossessionata

da un vuoto presenzialismo.

La nostra quotidianità è costellata da riferimenti

incomprensibili, pronunciati da

personaggi semisconosciuti, che evocano

forze che decidono le sorti di miliardi di

persone: mercato, operatori finanziari, società

di

rating, tasso di cambio, spread.

Persino la parola «Europa» viene comunemente

declinata nella sua incarnazione burocratico-

istituzionale. I mercati assumono

i sinistri contorni del

Moloch, il mostro

biblico che esige sacrifici umani: i mercati

vogliono, esigono, puniscono. La distanza

tra la società individualista, consumista di

(e del) mercato e il sistema di democrazia

partecipativa degli Amish, dove i rapporti

umani sono generalmente densi di significato,

è abissale.


Non è tanto nella forza di sopportare le privazioni

che gli Amish sono un esempio virtuoso,

quanto

nella capacità di ragionare nel lungo periodo.

Per gli uomini del XXI secolo ogni innovazione

è vista come un miglioramento della

qualità della vita; per gli Amish la questione

è ben più complessa. Essi cercano di

comprendere quali siano le future potenziali

esternalità negative di ogni novità. Per

questo motivo possono passare molti anni

prima che sia presa una decisione «definitiva

» in merito a ogni aspetto della modernità

che potrebbe entrare nel loro ambiente.

A esempio, quando il trattore si diffuse nelle

campagne americane, gli Amish consentirono

il suo utilizzo. Si resero però conto

che il nuovo macchinario svolgeva il lavoro

di molti uomini e, di conseguenza, applicando

un ragionamento diametralmente

opposto rispetto a quello imperante nel nostro

sistema produttivistico liberalcapitalista,

occorreva vietarlo, perché nel lungo periodo

avrebbe causato disoccupazione. Oggi

l’economia Amish, che rimane sostanzialmente

agraria, può vantare un tasso di occupazione

dei suoi membri vicino al

!""%.

Per molti Amish il più importante principio

religioso da trasmettere ai figli è «l’etica

del duro lavoro». Infatti, la teologia anabattista

è intimamente «esistenziale», ostile nei

confronti dei dogmatismi, delle disquisizioni

esegetiche e orientata verso un cristianesimo

pragmatico: se Dio ordinò ad Adamo

di ottenere il cibo con il sudore, un cristiano

deve lavorare sodo per far crescere i frutti

del creato. Il modello Amish è fecondo di

suggestioni anche in quest’ambito, perché

esce dall’«equivoco» del lavoro inteso come

una realtà a se stante. Il lavoro è considerato,

religiosamente, prosecuzione dell’opera

divina e, laicamente, realizzazione dell’essere

umano. Infatti, coltivare i campi consente

giorno per giorno di vedere il miracolo del

creato, lavorando in una dimensione familiare

e prettamente comunitarista.

La critica antropologica aiuta a decostruire

alcune idee reificate che hanno perso il

loro significato reale trasformandosi in totem

inviolabili. Abbandonare concetti come

crescita e sviluppo eterni, che sono sempre

orientati da aleatorie stime su un futuro che

nessuno può conoscere, è il primo passo

per creare un modello economico più umano.

La cifra della cultura Amish si trova

nell’idea di limite. Tramite l’enfasi sulla tradizione

si focalizza concretamente sulla risoluzione

dei problemi quotidiani. In questi

anni di crisi le aziende Amish hanno avuto

un successo straordinario: nella mentalità

Amish i problemi non cessano aspettando

un’ipotetica ripresa, ma lavorando più intensamente

e riducendo i consumi. L’approccio

degli Amish nei confronti del tempo,

del lavoro, della tecnologia, della tradizione,

rappresenta un prezioso stimolo per i

«moderni». La sua analisi ci consente di nutrire

la consapevolezza che, in una riflessione

libera e scevra da preconcetti, nessuna

opzione sia da escludere a priori: nel XXI

secolo,

#$".""" esseri umani sono felicemente

rimasti alla «carrozza». Gli Amish ci

insegnano che, al di là degli slogan, un altro

mondo è realmente possibile.

(a.b.)

1 commento:

  1. Condivido pienamente ciò che affermi nell'articolo.
    La società Amish é sicuramente uno spunto di riflessione interessante per analizzare la nostra folle realtà.
    E a me incuriosisce molto perché lì vedo aspetti importanti della vita che aimè abbiamo perso per strada.
    Complimenti per il lavoro di ricerca su questa realtà

    RispondiElimina

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