Riforma
• numero 22 • 7 giugno 2013 • pagina 6 • cultura
L’attuale crisi della società
globalizzata, che molti
ritengono essere non solo
economica, ma anche politica,
sociale e persino culturale, ha
fatto sorgere una serie di
analisi critiche del «sistema» e
proposte di modelli
alternativi. Dalla suggestione
della società della decrescita
ai tentativi di prefigurare
esperimenti basati sul
comunitarismo, le prospettive
che si contrappongono
all’egemonia della
globalizzazione liberalcapitalista
sono varie ed
eterogenee. Esse sono
tuttavia accomunate
dall’obiettivo di rimediare ai
danni creati dal cosiddetto
«sistema denaro» nella
«società liquida»,
evidenziando la necessità di
uscire dalla logica mercantile
dell’economia finanziarizzata.
La gente mi chiede cosa facciamo per divertirci.
Io rispondo: “Coltiviamo la terra”.
Anziano Amish
Andrea Borella
Alcuni studiosi sostengono che le cause
della crisi che ha colpito le economie
«sviluppate» siano da rintracciarsi
nelle stesse categorie fondanti la modernità.
Hanno dunque lanciato un
«manifesto» dell’antimodernità, per andare oltre il
dominio del «finanzcapitalismo» che avrebbe generato
una «dittatura del capitalismo», creando ciò
che è stato descritto come «l’orrore economico».
Decrescita, antimodernità, comunitarismo sono
concetti che sebbene definiscano aspetti distinti,
condividono un orizzonte di opposizione
ferrea alla società consumistica che si basa su logiche
quasi esclusivamente tese a trasformare l’essere
umano, e le sue molteplici propensioni, tra le
quali vi è quella religiosa, in un limitato
homo economicus.
Al riguardo appare utile e affascinante lo
studio di comunità che riescono a vivere e prosperare
oltre questa mera dimensione economica.
Il contributo del ramo dell’antropologia
che si occupa
della critica al contemporaneo modello sociale è
duplice. Da un lato, lo studio accademico, relativo
alla decostruzione di concetti che sono proposti
come non complessi e autoevidenti: la crescita
crea benessere. D’altro lato il lavoro «di campo»,
dove l’osservazione etnografica offre esempi di
comunità con pratiche e credenze religiose, politiche
ed economiche differenti rispetto a quelle imposte
dalla cultura egemonica. Negli anni settanta
Marshall Sahlins propose la teoria che la qualità
della vita dei popoli «primitivi» fosse migliore rispetto
a quella dei «moderni», divenendo un antesignano
del movimento della decrescita. Nell’esame
dei vari modelli culturali è però importante
considerare in quale modo approcciarvisi.
L’antropologo Clifford Geertz sviluppò la definizione
di cultura come «complesso di modelli»,
distinguendo tra «modelli di» e «modelli per».
Questi ultimi sono sinteticamente definiti come
modelli-guida, esempi da seguire
tout court,
mentre i «modelli di» sono insiemi coerenti,
provvisti di significato, il cui esame è utile per
trarre stimoli e spunti di riflessione. In questa
prospettiva è di particolare interesse l’analisi degli
Amish che, pur vivendo nella contemporaneità,
rifiutano gli elementi cardine della modernità:
idea di progresso, pensiero positivista, industrialismo,
concetto di stato-nazione.
Nonostante il termine modernità abbia confini nebulosi,
è possibile considerare la cultura Amish come
un modello dell’antimodernità. Gli Amish sono
una chiesa cristiana anabattista, la loro visione è
quindi prettamente religiosa. La «diversità» degli
Amish non si limita all’ostracismo nei confronti
della tecnologia, da cui deriva il divieto di avere
automobili, corrente elettrica, abiti alla moda, televisioni,
e di conseguire un’istruzione superiore.
Sono soprattutto le categorie politico-filosofiche
del pensiero moderno a essere estranee alla
Weltanschauung
Amish, dove i riferimenti a sviluppo,
crescita e progresso, che formano le politiche
della modernità, sono sostituite da rispetto per la
tradizione, enfasi sul lento scorrere del tempo e
fiducia nella provvidenza divina che induce a
sopportare le ingiustizie, focalizzandosi sul lavoro
e sul sacrificio quotidiani.
Decostruire i «miti» del progresso
G
li Amish non possono fungere da
«modello per» rifondare il sistema
basato sulle logiche astratte della
crescita e del mercato, perché, ammesso e
non concesso che ciò sia auspicabile, sarebbe
impraticabile riportare le lancette
del tempo indietro di secoli, rinunciando
alle innovazioni che hanno modificato in
profondità la nostra esistenza. Dal divieto
di suonare strumenti musicali alla proibizione
di studiare oltre il livello base, dalla
regola di poter viaggiare su un’automobile
ma non di possederla alle limitazioni tecnologiche,
le norme Amish appaiono troppo
influenzate da una sorta di fondamentalismo
tradizionalista religioso per trovare
spazio in una società aperta e pluralista.
Le differenze maturate nei secoli hanno
scavato un solco tra loro e la nostra (post)
modernità globalizzata. Non si tratta di
augurarsi un anacronistico «ritorno alle
carrozze», prospettiva affascinante se vogliamo,
ma improponibile; si tratta invece
di considerare anche questa eventualità, di
aprire la mente per riflettere su alternative
che sembrano inconcepibili.
A esempio, nella nostra società l’automobile
è contemporaneamente il principale
mezzo di trasporto,
status symbol e prodotto
cardine nelle maggiori economie.
Pensare di privarsene è visto come un’eresia,
nonostante i danni evidenti che questa
invenzione della modernità ha creato in
termini di vittime per incidenti stradali, inquinamento,
traffico. Discorso simile sulle
esternalità negative è riproponibile per la
televisione e gli altri
media. L’analisi del
modello Amish, nell’accezione di «modello
di», consente di decostruire questi «miti»
del progresso, valutati come intrinsecamente
positivi.
Lo stato-nazione ha rappresentato il primo
esempio di «comunità immaginata»,
vale a dire
un gruppo nel quale si condivide un sentimento
di appartenenza con milioni di sconosciuti
che provano le stesse passioni,
gioie e preoccupazioni. La globalizzazione
ha portato questo fenomeno a livelli planetari.
Sappiamo in tempo reale che cosa accade
dall’altro capo del mondo, mentre
l’intensità dei nostri rapporti umani si affievolisce
sempre più. Così non è tra gli
Amish, dove l’esistenza si svolge all’interno
di piccoli distretti ed è fatta di contiguità
affettive. Questa vicinanza fisica e «spirituale
» si nutre dell’ascolto e del silenzio,
aspetti centrali dell’antimodernità Amish e
quasi dimenticati nel fragore scomposto di
una società moderna caotica e ossessionata
da un vuoto presenzialismo.
La nostra quotidianità è costellata da riferimenti
incomprensibili, pronunciati da
personaggi semisconosciuti, che evocano
forze che decidono le sorti di miliardi di
persone: mercato, operatori finanziari, società
di
rating, tasso di cambio, spread.
Persino la parola «Europa» viene comunemente
declinata nella sua incarnazione burocratico-
istituzionale. I mercati assumono
i sinistri contorni del
Moloch, il mostro
biblico che esige sacrifici umani: i mercati
vogliono, esigono, puniscono. La distanza
tra la società individualista, consumista di
(e del) mercato e il sistema di democrazia
partecipativa degli Amish, dove i rapporti
umani sono generalmente densi di significato,
è abissale.
Non è tanto nella forza di sopportare le privazioni
che gli Amish sono un esempio virtuoso,
quanto
nella capacità di ragionare nel lungo periodo.
Per gli uomini del XXI secolo ogni innovazione
è vista come un miglioramento della
qualità della vita; per gli Amish la questione
è ben più complessa. Essi cercano di
comprendere quali siano le future potenziali
esternalità negative di ogni novità. Per
questo motivo possono passare molti anni
prima che sia presa una decisione «definitiva
» in merito a ogni aspetto della modernità
che potrebbe entrare nel loro ambiente.
A esempio, quando il trattore si diffuse nelle
campagne americane, gli Amish consentirono
il suo utilizzo. Si resero però conto
che il nuovo macchinario svolgeva il lavoro
di molti uomini e, di conseguenza, applicando
un ragionamento diametralmente
opposto rispetto a quello imperante nel nostro
sistema produttivistico liberalcapitalista,
occorreva vietarlo, perché nel lungo periodo
avrebbe causato disoccupazione. Oggi
l’economia Amish, che rimane sostanzialmente
agraria, può vantare un tasso di occupazione
dei suoi membri vicino al
!""%.
Per molti Amish il più importante principio
religioso da trasmettere ai figli è «l’etica
del duro lavoro». Infatti, la teologia anabattista
è intimamente «esistenziale», ostile nei
confronti dei dogmatismi, delle disquisizioni
esegetiche e orientata verso un cristianesimo
pragmatico: se Dio ordinò ad Adamo
di ottenere il cibo con il sudore, un cristiano
deve lavorare sodo per far crescere i frutti
del creato. Il modello Amish è fecondo di
suggestioni anche in quest’ambito, perché
esce dall’«equivoco» del lavoro inteso come
una realtà a se stante. Il lavoro è considerato,
religiosamente, prosecuzione dell’opera
divina e, laicamente, realizzazione dell’essere
umano. Infatti, coltivare i campi consente
giorno per giorno di vedere il miracolo del
creato, lavorando in una dimensione familiare
e prettamente comunitarista.
La critica antropologica aiuta a decostruire
alcune idee reificate che hanno perso il
loro significato reale trasformandosi in totem
inviolabili. Abbandonare concetti come
crescita e sviluppo eterni, che sono sempre
orientati da aleatorie stime su un futuro che
nessuno può conoscere, è il primo passo
per creare un modello economico più umano.
La cifra della cultura Amish si trova
nell’idea di limite. Tramite l’enfasi sulla tradizione
si focalizza concretamente sulla risoluzione
dei problemi quotidiani. In questi
anni di crisi le aziende Amish hanno avuto
un successo straordinario: nella mentalità
Amish i problemi non cessano aspettando
un’ipotetica ripresa, ma lavorando più intensamente
e riducendo i consumi. L’approccio
degli Amish nei confronti del tempo,
del lavoro, della tecnologia, della tradizione,
rappresenta un prezioso stimolo per i
«moderni». La sua analisi ci consente di nutrire
la consapevolezza che, in una riflessione
libera e scevra da preconcetti, nessuna
opzione sia da escludere a priori: nel XXI
secolo,
#$".""" esseri umani sono felicemente
rimasti alla «carrozza». Gli Amish ci
insegnano che, al di là degli slogan, un altro
mondo è realmente possibile.
(a.b.)